Negli articoli da 1 a 16 e nei successivi 19, 23, 27 e 112 del D.L. 104 intitolato “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia” il Governo ha voluto normare numerosi aspetti della legislazione COVID-19 sui temi del lavoro, a partire dall’art. 1: “Nuovi trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga”, per proseguire con nuovi casi di “esoneri contributivi” agli articoli 3, 6 e 7 e infine andando ad affrontare con decisione temi spinosi con l’art. 8: “Disposizioni in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine” e l’art. 14: “Proroga delle disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo”.
Per praticità e sintesi, ci concentreremo per questo primo commento quindi sugli aspetti che immaginiamo interessino in particolar modo le nostre cooperative associate.
Articolo 1
Con questo decreto sono concessi ammortizzatori sociali CIGO, FIS o CIG Deroga per sospensioni o riduzioni di orario riconducibili al Covid-19 per una durata massima di 9 settimane, incrementabili di altre 9 con alcune condizioni. Le settimane complessive sono, quindi, 18 al massimo e devono essere collocate nel periodo compreso tra il 13 luglio ed il 31 dicembre 2020. Attenzione al fatto che i periodi già richiesti ed autorizzati secondo la precedente disciplina, collocati, anche solo parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio sono imputati alle prime 9 settimane. Potrebbero esserci qui penalizzazioni per quelle cooperative che hanno deciso di non richiedere periodi troppo lunghi tutti insieme, anche con esame congiunto od accordo con le organizzazioni sindacali, il precedente periodo (9 settimane, oltre alle cinque ed alle quattro successive da fruire entro il 31 agosto) e che si ritrovano parzialmente a non poter usare il periodo di fruizione complessivo.
La principale novità riguarda la fruizione delle ulteriori 9 settimane: il periodo precedente deve essere stato completamente autorizzato. Ma, a determinate condizioni, l’ammortizzatore COVID-19, gratuito per tutto il periodo precedente, potrà subire un costo sotto forma di contributo addizionale a carico dei datori di lavoro in seguito al raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2019 e quello del primo semestre del 2020:
Se nella comparazione il fatturato si è ridotto meno del 20%, il 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate durante la sospensione o la riduzione di orario,
Per le aziende che non segnalano cali di fatturato nella comparazione il costo è il 18% della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di sospensione o di integrazione salariale,
Non è dovuto alcun contributo addizionale se la riduzione del fatturato, nel periodo sopra considerato, è pari o superiore al 20%;
Per le imprese di nuova costituzione ovvero che hanno iniziato l’attività dopo il 1° gennaio 2019 non è previsto alcun contributo addizionale.
Per la fruizione delle ulteriori 9 settimane, serve un’autocertificazione ex art. 47 del DPR n. 445/2000, con l’indicazione dell’eventuale riduzione di fatturato. In base alla riduzione di fatturato l’INPS individua l’aliquota del contributo addizionale che va versato a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale. In mancanza dell’autocertificazione l’Istituto applicherà l’aliquota massima, ferme restando le necessarie verifiche su quanto dichiarato, che saranno effettuate sia dall’Istituto che dall’Agenzia delle Entrate sulla base di dati ed elementi di valutazione che potranno scambiarsi. Su questo punto in particolare sarà d’obbligo he l’INPS emani una circolare vista la novità assoluta del meccanismo.
Costa molto caro, dunque, fruire di queste ulteriori settimane COVID-19: le aliquote del 9% e 18% sono ben superiori a quelle in uso normalmente. In particolare per le cooperative che possono richiedere il FIS la differenza è ampia.
Le domande vanno presentate entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario. In sede di prima applicazione, il termine finale è il 30 settembre.
Per chi sceglie il pagamento diretto da parte dell’INPS: il datore di lavoro deve inviare all’Istituto tutti i dati necessari per il pagamento ed il saldo (modello “sr41”) entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo integrativo o, se posteriore, entro trenta giorni dall’adozione del provvedimento di concessione. E’ stata riconfermata da una nota del MinLav la possibilità per le aziende di richiedere all’INPS l’anticipo del 40% del trattamento disciplinato dal comma 3 dell’articolo 22-quater del DL 18/2020.
Per quanto riguarda la CISOA per gli operai agricoli a tempo indeterminato, in deroga ai limiti di fruizione riferiti al singolo lavoratore (e non all’unità produttiva come avviene per le altre forme di integrazione salariale) ed al numero delle giornate da svolgere presso la stessa azienda (almeno 181), vengono riconosciuti altri 90 giorni (al massimo) da fruire nell’arco temporale compreso tra il 13 luglio al 31 dicembre 2020. Anche per la CISOA, i periodi già richiesti ed autorizzati dall’INPS, per periodi successivi al 12 luglio, vengono considerati rientranti nei 90 giorni di cui sopra e, in fase di prima applicazione, il termine di decadenza correlato all’istanza viene fissato al 30 settembre. Tutte le giornate di integrazione COVID-19 fruite sono utili al raggiungimento delle 181 giornate.
Articolo 3
Viene introdotta, in via eccezionale e subordinatamente all’autorizzazione della Commissione Europea (non è chiaro quando arriverà), un’agevolazione contributiva valida per un massimo di 4 mesi, da fruire entro il prossimo 31 dicembre, in favore delle imprese che NON richiedano ulteriori trattamenti integrativi COVD-19, pur avendo usufruito nei mesi di maggio e giugno degli ammortizzatori sociali COVID-19.
Si applica a tutti i datori di lavoro privato, con esclusione di quelli del settore agricolo, che hanno fruito tra maggio e giugno 2020 di integrazioni salariali COVID-19, attraverso la CIGO, il FIS, la Cassa in deroga o i Fondi bilaterali alternativi.
I motivi per cui siano esclusi quelli del settore agricolo, sia che abbiano utilizzato la CISOA sia abbiano richiesto la Cassa in deroga, sono probabilmente legati alla particolarità della contribuzione agricola.
L’esonero non vale per i lavoratori che abbiano avuto un contratto a tempo indeterminato nei 6 mesi precedenti all’assunzione presso la medesima impresaEsso è pari, sulla quota a carico di ciascun datore di lavoro, al doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno, con esclusione dei premi e contributi INAIL, riparametrato ed applicato su base mensile, nel limite massimo di un importo pari a 8.060 euro su base annua. Anche in questo caso sarà indispensabile una circolare dell’INPS sul punto per il calcolo preciso.
Inoltre, il datore di lavoro che abbia beneficiato della riduzione contributiva è sottoposto ai divieti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo previsti dall’art. 13. Se ne deduce che la sospensione dei recessi vale per tutto il 2020, con l’eccezione dei licenziamenti effettuati a seguito di accordi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, con il riconoscimento di incentivi, e solo per quei dipendenti che intendono aderire all’accordo ai quali viene garantita la NASPI. Pur restando all’interno del giustificato motivo oggettivo, è possibile escludere dal divieto anche il caso del cambio di appalto, qualora l’assunzione da parte dell’impresa subentrante sia prevista da una norma di legge (ad esempio, l’art. 50 del Codice Appalti), di contratto collettivo (ad esempio, l’art. 4 del CCNL multiservizi) o di una ulteriore clausola presente nel bando o nel contratto di appalto.
La violazione del divieto di licenziamento ha come conseguenza la revoca dell’esonero contributivo e l’impossibilità di presentare istanza di integrazione salariale per COVID-19.
Questo esonero contributivo è riconosciuto anche nei casi di trasformazione del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato avvenuta dopo il 14 agosto ed è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previste dalla normativa vigente, nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta.
Articolo 8
Dopo una lunga fase furiosa di legiferazione sul punto, si ha la sensazione che sia stato trovato un punto di novità e di equilibrio sui contratti a termine.In deroga all’articolo 21 del D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 81, fino al 31 dicembre 2020 sarà possibile rinnovare o prorogare per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, ferma restando solo la durata massima complessiva di 24 mesi. Queste novità si applicano anche alla somministrazione a termine. Per chiarezza, la data del 31 dicembre 2020 rappresenta il giorno ultimo entro il quale può essere rinnovato o prorogato un contratto a termine. La norma parla di proroghe e rinnovi, quindi di contratti a termine in corso o che, se scaduti, possono essere rinnovati. Tuttavia, si applica anche ai contratti “nuovi”, che vengono stipulati tra le parti per la prima volta, visto che il rapporto di lavoro sottoscritto per la prima volta in questi giorni senza causale e con scadenza entro dicembre, potrebbe legittimamente essere prorogato per 12 mesi, senza causale.
Ma c’è qualcosa che non quadra riguardo a questo contratto “nuovo”: può essere prorogato una sola volta entro il 31 dicembre 2020 e per una durata massima di 12 mesi: ciò significa che non sarebbe possibile prorogarlo ulteriormente nel corso del 2021, pur nel rispetto del numero massimo delle proroghe e della durata complessiva di 24 mesi e dell’inserimento di una causale specifica: attendiamo i necessari chiarimenti. In questo periodo, ci pare assurdo vengano messi limiti alle assunzioni che avvengono nel rispetto della legge.
Quanto al numero delle proroghe che, con il consenso del lavoratore, possono essere inserite nel contratto iniziale: se il datore di lavoro, in forza di precedenti contratti, ha già raggiunto il limite massimo di 4 previste dall’art. 21, può utilizzare una quinta proroga per questo contratto senza causale.
Per il resto, a questi contratti a termine trovano applicazione le regole generali previste dal D.L.vo n. 81/2015, fra cui: percentuale fissata al 20% (o quella, diversa, stabilita dalla contrattazione collettiva) rispetto al numero dei dipendenti a tempo indeterminato in forza alla data del 1° gennaio dell’anno al quale si riferisce l’assunzione (in questo caso il 2020); diritti di precedenza; possibilità di stipulare un ulteriore contratto a termine (con causale) all’Ispettorato territoriale del Lavoro per un massimo di 12 mesi.
E inoltre il comma 1-bis e’ abrogato, dopo che per alcune settimane la sua presenza ha determinato scompiglio e imbarazzi fra i datori di lavoro, compresi molti cooperatori. Ne avevamo parlato in una comunicazione del 31/7 u.s. (prot. n. 226/2020).L’obbligo di proroga che prevedeva dunque era un errore ed è stato corretto, come da noi auspicato.
Articolo 14
Il divieto di avviare o “scongelare” procedure di licenziamento collettivo per motivi economici legati al COVID-19 o anche procedere a licenziamenti individuali sempre per lo stesso motivo vale per tutti i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti d’integrazione salariale COVID-19 (18+18 settimane), ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 di questo decreto (vedi commento all’articolo 3 e 6).
Le eccezioni che ritroviamo già nella legge a questo divieto sono le seguenti:
- il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.
- licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri un “2112 c.c.”, ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, solo per i lavoratori che aderiscono al predetto accordo.
- i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Leggiamo in questi giorni l’opinione autorevole di vari esperti che si stanno profondendo in interpretazioni estensive delle casistiche di derogabilità del divieto di licenziamenti. Noi preferiamo fermarci ai casi illustrati in attesa di conferme ufficiali.
Approfondimento a cura di Olmo Gazzarri.
Legacoop Toscana rimane a disposizione delle cooperative aderenti per ulteriori chiarimenti.